Disposizione testamentaria a titolo di erede pure a fronte dell’indicazione di beni determinati
In generale, comunque, le disposizioni testamentarie sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore

Le disposizioni testamentarie sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono, invece, a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario. Ciò detto, l’indicazione di beni determinati non esclude che la disposizione sia a titolo di erede se risulta che il testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio, ma sui beni di cui il testatore non abbia intenzionalmente disposto si apre la successione ab intestato e vanno attribuiti agli eredi legittimi. Questi i chiarimenti forniti dai giudici (ordinanza numero 9522 dell’11 aprile 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo all’assegnazione di un conto, a seguito della morte del titolare, e delle relative somme. In sostanza, nella specifica vicenda, alla donna che pretende l’assegnazione di quel conto (o, quantomeno, del 50 per cento delle somme lì depositate) va attribuita la qualifica di legataria per il fatto che il testamento le attribuiva singoli beni e non gli altri presenti nel patrimonio del testatore di cui questi era a conoscenza (ossia il saldo del conto corrente). Peraltro, il conto contemplato nel testamento era inizialmente cointestato tra il de cuius e la sorella, e, morta quest’ultima, l’uomo aveva trasferito le liquidità su altro conto, pochi giorni prima di redigere il testamento, condotta che è indice inequivocabile, unitamente al contenuto della scheda, della volontà di lasciare alla donna solo i beni menzionati nelle disposizioni mortis causa. La menzione di entrambi i conti come oggetto di lascito è smentito in fatto, poiché il testamento faceva in realtà riferimento ad un altro conto presso (estinto al momento del testamento) e non a quello, diverso dal primo, che il de cuius aveva aperto poco prima di disporre dei beni. Per quanto concerne, poi, la possibile qualifica della donna come erede universale, i giudici ricordano che le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore, mentre le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario. E quindi è compito del giudice stabilire se il lascito sia a titolo di erede o a titolo particolare. Poi, l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo di erede se risulta che il testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio e, tuttavia, neppure in tal caso il soggetto istituito è erede unico: l’effetto dell’institutio ex re certa consiste nell’attribuire la quota risultante dal rapporto tra il valore del lascito ed il patrimonio ereditario, quota che si espande ai soli beni sopravvenuti o a quelli ignorati dal testatore al momento delle disposizioni di ultima volontà. Sugli altri beni di cui il testatore non abbia intenzionalmente disposto si apre la successione ab intestato ed essi vanno attribuiti agli eredi legittimi. Una volta escluso che il defunto volesse nominare erede universale la donna, quest’ultima nessuna pretesa può vantare diritti sui fondi trasferiti sul nuovo conto. Il fatto che quei fondi fossero stati spostati prima della presentazione della denuncia di successione non autorizza la legataria ad avanzare pretese risarcitorie per non averne ottenuto la consegna, cui non aveva diritto. Anche perché il trasferimento dei fondi dall’uno all’altro conto era facoltà concessa al chiamato che, in tal modo, aveva posto in essere un atto di accettazione dell’eredità. La necessità che il trasferimento fosse prima regolarizzato sul piano fiscale mediante la denuncia di successione ed il pagamento dell’imposta rilevava nei rapporti tra questi e il Fisco, esponendo la banca a responsabilità amministrativa verso l’erario.