Persona uccisa: ciò basta a far presumere una sofferenza morale per i familiari

Irrilevante, secondo i giudici, il riferimento alla mancanza di convivenza o alla lontananza

Persona uccisa: ciò basta a far presumere una sofferenza morale per i familiari

L’uccisione di una persona fa presumere da sola una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti, essendo in tali casi onere del presunto responsabile del decesso provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo. Questi i paletti fissati dai giudici (ordinanza numero 3904 del 14 febbraio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’istanza risarcitoria avanzata da moglie e figlie di un uomo che, sottoposto ad un primo intervento chirurgico, era stato poi costretto, a seguito di infezione della ferita chirurgica, a subire altri tre interventi e che era poi deceduto a causa di alcune complicazioni. In Appello è stato riconosciuto un ristoro economico di quasi 193mila euro alla vedova, a seguito del la perdita del rapporto parentale con il coniuge, mentre è stata respinta l’analoga domanda avanzata dalle figlie. Su questo fronte, difatti, i giudici di merito hanno sottolineato il difetto di specifica allegazione del concreto atteggiarsi della relazione affettiva delle figlie con il padre, a fronte della oramai interrotta convivenza sotto lo stesso tetto. Di parere opposto, invece, i giudici di Cassazione, i quali ritengono legittime le obiezioni sollevate dalle figlie del defunto. Anche a loro va riconosciuto, salva prova contraria, un adeguato ristoro economico, anche perché per i membri della cosiddetta famiglia nucleare la perdita e il connesso dolore possono essere sempre presunti, solo in base all’appartenenza alla medesima stretta cerchia familiare.

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